Antico manto verde.

Questa volta vorrei parlarvi del tappeto erboso.

Anzi, meglio definirlo manto erboso. Il cosiddetto “pratino” è proprio l’espressione più antica che si conosca in termine coltivo ornamentale.

Per noi invece è il coronamento del giardino, il tocco finale o meglio dire, la ciliegina sulla torta. Proprio per questo va data al manto erboso l’importanza che merita.

L’uso del tappeto erboso affonda nella notte dei tempi, ma è diventato un vero e proprio oggetto di ricerca in epoca medievale.

Proprio in Italia, nobili bontemponi si sfidavano nella semina o nel trapianto di graminacee per aver il prato più verde (la pigmentazione era importante e fondamentale) e resistente (al calpesto, alla siccità, al freddo).

Fra le essenze antiche, merita un cenno la Cynusurus cristatus(crestina dell’orsa o coda di cane), una graminacea presente in tutta Europa in circa cinquecento varietà, diffusissima, anticamente, per il suo colore verde chiaro.

Grazie alla pigmentazione chiara, confondeva una infestante piuttosto simile ancor oggi diffusa nei nostri prati. Non per nulla i pascoli venivano anche chiamati “cinosureti”.

A inizio secolo, alcuni passi fondamentali per lo sviluppo dei manti erbosi si possono attribuire ai popoli Anglosassoni, agevolati da un clima molto favorevole alle specie microterme.

Non a caso si parla di “pratino inglese”.

Dal dopoguerra a oggi, invece la storia del tappeto erboso diventa complicatissima.

L’evoluzione comincia dalla ricerca. E la ricerca comincia in giro per il mondo.

Le case produttrici di sementi pagano personaggi che non fanno altro che asportare ibridi naturali qualora questi risultino interessanti.

Il caso più famoso è costituito da una graminacea oggi molto usata nei green da golf, trovata casualmente 25-30 anni fa in un rustico di Firenze (e fino ad allora sconosciuta).

Dal momento in cui una varietà viene ritenuta interessante, passano minimo 12-15 anni prima che venga commercializzata.

Il  2009 è stato una pietra miliare nella storia del tappeto erboso. Thermal blue è un rivoluzionario ibrido selezionato dalla più famosa ditta di ricerca del mondo, l’americana Scotts.

La ditta ha cominciato l’ibridazione della nuova graminacea nel 1949 come foraggio per cavalli da corsa. Vista la super-resistenza ai più comuni problemi patogeni e climatici, si è deciso di continuare ad ibridare sugli ibridi.

Insomma: dopo 6 anni di sperimentazione Usa, oggi possiamo seminarla anche noi in miscuglio.

L’Italia ha una varietà climatica assai differenziata. Per semplificare, possiamo dividere le erbe ornamentali in “microterme” (resistenti al gelo) e “macroterme” (gelive, e quindi soggette a dormienza).

Per chi vive al nord, la possibilità di scelta cade facilmente sulle microterme; dal centro Italia in giù, sulle macroterme.

Fra le microterme più comuni, meritano menzione i loietti, le poe, le agrostidi e le festuche, tra le quali la Festuca arundinacea.

L’arundinacea – che, personalmente, uso per il rifacimento dei vecchi prati, tipo rustici e case coloniche – è una sorta di via di mezzo tra microterme e macroterme.  E’ verde scura, ha una foglia piuttosto larga e, grazie a questo, si presenta al calpestio come una specie di materasso.

La sua caratteristica migliore è l’apparato radicale: è l’unica essenza del suo genere a spingere i propri fittoni (radici) a 30 centimetri di profondità in terreni costipati e fino a un metro nei terreni molto friabili. Con la logica conseguenza di poter sfruttare le sostanze nutritive tre volte meglio delle cugine graminacee.

Fra le macroterme più interessanti, vale la pena citare le zoisie, il Cynodon dactilon (meglio conosciuto come gramigna). Fra le graminacee macroterme, una delle più resistenti al caldo e alla siccità è la Paspalum vaginatum (frequente nei campi da golf in Florida), che può essere irrigata con acque reflue o addirittura con acqua di mare ed è adattissima anche ad abbellire i rustici dell’Italia peninsulare in zone costiere.

Per la stessa zona possiamo tralasciare le graminacee e passare a una dicotiledone dal comune nome di Dichondra repens.

Ma che costi comporterà avere un bel tappeto erboso?

Facciamo “due” considerazioni:

Se l’estensione si riduce a poche decine di metri, il prato dovrà essere bello in ogni angolo e meriterà adeguata attenzione. In questo caso la spesa sarà poca per la ridotta estensione, ma avrà un costo al metro quadro piuttosto considerevole.

Se la metratura aumenta, concentreremo la cura nelle immediate vicinanze delle dimora. Tuttavia anche le zone di minor calpestio vanno curate. E per ridurre i costi di manutenzione consiglio di stendere tappeti di bassa crescita, come le Zoisie sopra precitate. Logico è pensare che il costo per metro quadro sarà più ridotto.

Per una buona conservazione del tappeto erboso, dovrete imparare a riconoscere le malattie che possono colpirlo.

Il vostro giardiniere lo curerà con trattamenti mirati. Essi avranno dei costi, i quali scenderanno con le buone pratiche agronomiche.

Un ultimo accenno alle fertilizzazioni. Con Scotts Italia, ho ideato un programma di cinque concimazioni annue correlate e programmate tra loro.

Per un rustico privato, questo programma è sufficiente. Ma se possedete un agriturismo o una villa adibita a party e matrimoni, quindi con prato molto calpestato, le concimazioni diventeranno sei.

Contattaci per maggiori informazioni.

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