IL GARDEN DESIGNER.

Lo scorso fine settimana ho approfittato del bel tempo per portare tutta la famiglia a Torino. Lo scopo della trasferta, oltre che a passare due giorni in relax con mio figlio di sei anni e mio nipote di cinque, era di visitare nuovamente il parco Valentino, ma soprattutto vedere la mostra dedicata a Giovanni Michelotti. Il MAUTO, museo dell’automobile del capoluogo piemontese, ha dedicato per tre mesi, un’intera ala del museo per esporre alcune delle opere più prestigiose di Michelotti, nonché una serie illimitata di documenti e schizzi firmati da Giovanni.

Ma chi era Giovanni Michelotti e cosa centra con la progettazione dei giardini?

Michelotti è stato, a mio avviso, il più geniale designer di automobili di tutti i tempi. Passatemi il campanilismo, ma noi italiani siamo stati da sempre i migliori progettisti del mondo, nonostante non avessimo, e non abbiamo tuttora, tutte le possibilità e le facilitazioni che si possono trovare in altri paesi; insomma, quello che abbiamo disegnato nel secolo passato, ce lo siamo sudato.

 Michelotti diventa capo designer a soli 16 anni, dopo che un noto carrozziere torinese, licenzia un eclettico Frua (altro genio del settore), perché parcheggiava l’auto in posti non assegnati alla sua persona (di solito, davanti all’unico ingresso della Pininfarina, impedendone il normale passaggio).

Giovanni, per primo, cerca di sposare in buon stile con la sicurezza. A lui dobbiamo i montanti sottili ma scatolati, che permettono il massimo della visibilità. A lui dobbiamo attribuire l’invenzione del tetto a pagoda (e non a Paul Bracq) per facilitare l’ingresso nelle auto sportive anche ai proprietari più corpulenti. Le sue linee filanti e le marcate nervature, disegnate con perfezione maniacale, nascondevano rinforzi alla carrozzeria; il tutto per migliorare la sicurezza delle sue auto. A noi oggi sembra tutto assai scontato, ma se ci immedesimiamo in un imprenditore del primo dopoguerra, possiamo capire quanto era avanti rispetto ai tempi. E lo hanno capito anche negli stati uniti. Edgardo, il figlio, nonché un caro amico, ha trovato rovistando tra i documenti del padre, un contratto stilato da una nota casa automobilistica statunitense. Nel contratto ci sono due spazi in bianco che Giovanni doveva completare: la firma e la cifra in danaro. Non firmò mai perché la libertà della sua matita, non aveva prezzo. 

La particolarità di Michelotti sta anche nel modo di disegnare. Ogni suo progetto era ambientato. Certo, sottolineo ambientato. È proprio per questa sua attitudine di vedere l’auto posizionata dove secondo lui era destinata, che lo accomuna a noi paesaggisti. Se la commissione gli arrivava dai paesi nordici, ambientava la sua auto, sulla neve. Al contrario, se la commissione arrivava da paesi tropicali, il paesaggio di sfondo era composto da palme e fiori esotici.

Un proprietario di numerosi negozi di moda, gli commissionò il disegno della sua nuova Ferrari. Michelotti disegnò una fuoriserie unica e incredibilmente bella, ambientata in una lussuosa via del centro piena di negozi, con a fianco della carrozzeria una bellissima ragazza che indossa un tailleur con dei tagli particolari, eleganti tanto quanto l’auto che le era vicino. Il cliente, colpito dall’abito, lo produsse in 500 esclusivi pezzi e con il ricavato delle vendite, si comprò la Ferrari.

Storie di altri tempi. Storie che insegnano quanto sia importante saper ambientare un progetto, e quanta importanza va data ai particolari. Sentendo le parole di Edgardo, che descrivono la vita “artistica” e professionale di suo padre, non ho potuto non fare collegamenti al più grande paesaggista di tutti i tempi: Pietro Porcinai.

Contemporaneo di Michelotti, Pietro ne ricalca le gesta in chiave paesaggistica, incontrando le stesse, se non di più, difficoltà; in un paese dove, nel secolo scorso, l’arte, il disegno e la cultura del verde, avevano la stessa importanza di una discarica di rifiuti. Per fortuna, grazie a gente come Michelotti e Porcinai le cose in Italia, stanno lentamente cambiando.

Noi di Paesaggio Italiano ci mettiamo del nostro. Progettiamo giardini che sono paesaggi, ma con la funzionalità e fruibilità che un giardino deve avere. Il nostro obbiettivo non si ferma ai confini fisici di un pezzo di terra: perché i nostri occhi non hanno confini, ma percepiscono quelli che a loro vengono imposti.

Disegnare un ambiente, vuol dire creare un qualcosa che arricchisca e migliori la vita di chi guarda e chi vive lo stesso ambiente. Il compito del paesaggista è di inventare un’opera o ripetere ciò che ha imparato dalla natura per regalarlo a tutti. Se penso ad un verbo che racchiuda tutto ciò che ho descritto, me ne viene in mente uno solo: ambientare.

Proprio come Michelotti e Porcinai, ogni designer deve essere consapevole che ogni protagonista non può essere definito tale, se non accompagnato da una buona sceneggiatura. Quindi, continuando con questa linea di similitudini, noi progettisti del verde siamo i registi del giardino. Organizziamola sceneggiatura dove il protagonista sei tu che vivi il tuo giardino.

Ultimo esempio, poi non rompo più le scatole. Prima di progettare un giardino, è importante farsi un’idea di chi si ha di fronte e che paga la tua opera. Quindi, prova ad immaginare di avere come committente un appassionato di auto d’epoca (giusto per rimanere in zona Michelotti). Costui ama i suoi “giocattoli”, quindi perché non regalargli una zona del giardino dove vi può arrivare con la sua ultima fuoriserie, parcheggiarla all’ombra di un albero maestoso, ammirarla mentre sorseggia una bibita ghiacciata, coricato sulla sua chaise lounge, sotto un elegante pergola ricoperta di un generoso glicine azzurro e profumatissimo (sempre che in epoca di fioritura del glicine, la maestosa quercia abbia già sufficienti foglie per fare ombra). Rendo l’idea?

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Campanini Claudio

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